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Procedimenti sanzionatori Consob: La Corte di Giustizia riconosce il diritto al silenzio

Gli individui che rifiutino di fornire alle autorità finanziarie risposte che possano farne emergere la responsabilità passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale non possono essere perseguiti.

Nella causa C‑481/19, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla questione pregiudiziale proposta dalla Corte Costituzionale italiana sull’interpretazione e sulla validità delle norme comunitarie e del T.U.F. che impongono agli Stati Membri di sanzionare le violazioni dell’obbligo di collaborazione con l’Autorità incaricata della vigilanza sul mercato nei procedimenti amministrativi (di natura sostanzialmente penale) in tema di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato. Con la citata sentenza, la Corte ha affermato che le previsioni sanzionatorie per mancata collaborazione con l’Autorità di vigilanza non possano spingersi sino a consentire di sanzionare chi decide di non rispondere a domande dell’Autorità dalle quali possa emergere una responsabilità sostanzialmente penale.

Introduzione

Con sentenza emessa il 2 febbraio 2021 all’esito della causa C‑481/19, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sulla questione pregiudiziale proposta dalla Corte Costituzionale italiana sull’interpretazione e sulla validità dell’articolo 14, paragrafo 3, della Direttiva 2003/6/CE e dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (UE) n. 596/2014, recepiti in Italia con l’art. 187 quinquiesdecies TUF. Tali disposizioni impongono agli Stati Membri il dovere di sanzionare le violazioni dell’obbligo di collaborazione con l’Autorità incaricata della vigilanza sul mercato nei procedimenti amministrativi in tema di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato. In particolare, la Corte Costituzionale ha chiesto alla CGUE se tali disposizioni possano essere interpretate in maniera conforme al diritto “al silenzio”, ai sensi degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

I fatti

La vicenda che ha portato alla richiesta di pronuncia da parte della CGUE riguarda un procedimento intentato dalla Consob ai sensi del TUF per abuso di informazioni privilegiate e per la comunicazione illecita di informazioni privilegiate. La Consob, oltre alla sanzione per tali illeciti, ha altresì inflitto una sanzione pecuniaria per la violazione dell’articolo 187 quinquiesdecies TUF, per avere il soggetto sanzionato più volte rinviato la data dell’audizione alla quale era stato convocato come persona informata dei fatti e per essersi rifiutato di rispondere alle domande che gli erano state rivolte una volta presentatosi all'audizione.

Il parere dell’Avvocato Generale

Di particolare rilievo, per la comprensione della portata della sentenza, è il parere preliminarmente reso dall’Avvocato Generale della CGUE, in data 27 ottobre 2020. Secondo l'Avvocato Generale, anche alla luce della sentenza Grande Stevens c. Italia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte EDU), i procedimenti amministrativi per la repressione degli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, così come delineati dal Legislatore italiano, potrebbero sfociare in sanzioni amministrative aventi natura sostanzialmente penale. Tale circostanza giustifica per le persone fisiche l'applicazione del diritto al silenzio come interpretato dalla Corte EDU. In particolare, l’Avvocato Generale, richiamando la sentenza Corbet c. Francia della Corte EDU, sembra ritenere che vi sia una violazione dell’art. 6 CEDU – e quindi del diritto di non autoincriminarsi – ogni volta che le dichiarazioni vertenti sui fatti e rilasciate sotto costrizione abbiano influito sulla motivazione della decisione adottata o sulla sanzione inflitta in esito al procedimento sanzionatorio penale. In conclusione, l'Avvocato Generale proponeva alla Corte di interpretare e applicare le suddette disposizioni comunitarie in modo tale da garantire il diritto al silenzio. Più precisamente, secondo l’Avvocato Generale, tali disposizioni sono compatibili con il diritto comunitario a condizione che le stesse vengano interpretate nel senso che non impongono agli Stati membri di sanzionare coloro che rifiutano di rispondere a domande dell’Autorità di vigilanza dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di natura penale.

La sentenza della Corte di Giustizia

La CGUE, investita della questione, ha sostanzialmente recepito le argomentazioni dell’Avvocato Generale e ha dichiarato che l’articolo 14, paragrafo 3, della Direttiva 2003/6/CE e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (UE) n. 596/2014, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’Autorità competente in forza della direttiva o del regolamento citati, si rifiuti di fornire risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale. Più precisamente, la CGUE sembra affermare che il diritto al silenzio deve essere rispettato non solo nei procedimenti amministrativi aventi natura sostanzialmente penale, come quello intentato nel caso di specie dalla Consob in tema di abusi di mercato, ma anche nell’ambito di procedimenti della stessa Autorità di vigilanza che non implichino sanzioni di natura penale. Ciò in quanto, in base alla normativa nazionale, gli elementi di prova ottenuti nell’ambito di tali procedure potrebbero essere utilizzati in un procedimento penale intentato nei confronti della stessa persona al fine di dimostrare la commissione di un illecito penale.

Conclusioni

La CGUE, investita della questione, ha sostanzialmente recepito le argomentazioni dell’Avvocato Generale e ha dichiarato che l’articolo 14, paragrafo 3, della Direttiva 2003/6/CE e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (UE) n. 596/2014, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’Autorità competente in forza della direttiva o del regolamento citati, si rifiuti di fornire risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale. Più precisamente, la CGUE sembra affermare che il diritto al silenzio deve essere rispettato non solo nei procedimenti amministrativi aventi natura sostanzialmente penale, come quello intentato nel caso di specie dalla Consob in tema di abusi di mercato, ma anche nell’ambito di procedimenti della stessa Autorità di vigilanza che non implichino sanzioni di natura penale. Ciò in quanto, in base alla normativa nazionale, gli elementi di prova ottenuti nell’ambito di tali procedure potrebbero essere utilizzati nell’ambito di un procedimento penale intentato nei confronti della stessa persona al fine di dimostrare la commissione di un illecito penale.